Trionfi e Riconoscimenti Storici dell'ospedale
L'antico ospedale degli esposti di Valle Camonica, ubicato -entro i limiti del territorio censuario appartenente al comune di Malegno- sulla riva destra dell'Oglio, in prossimità del ponte di legno (crollato il 20 luglio 1700, poi distrutto e spostato -nel corso dell'Ottocento- qualche decina di metri più a valle) che metteva in collegamento il locale asse stradale principale con l'abitato di Cividate, operò durante lo svolgersi dei secoli per fronteggiare il drammatico problema dei trovatelli dei quali assicurava la raccolta e l'accudimento. Il meccanismo della "ruota" -una sorta di bussola piazzata a fianco dell'ingresso dell'ospizio che permetteva ai depositanti di rimanere occultati agli incaricati della ricezione- che girando sinistramente provocava il ferale tintinnìo di una campanella annunziante, spesso nella muta profondità delle ore notturne, l'avvenuto abbandono furtivo di un morbido fardello rappresentava il segno più tragico dello stato miserevole in cui versava la Valle, ma nello stesso tempo diventava simbolo della pietà dei nostri antenati che -dinanzi ad un radicato di- sordine morale ed al ruvido, triste calendario della vita quotidiana- aveva saputo creare una così preziosa istituzione. Nella società camuna del passato; soprattutto in antico regime, l'esercizio della solidarietà e della carità veniva supportato da una minuziosa organizzazione nata attorno alla vicinia che aveva disegnato sul nitido fondale della fede cristiana un reticolo di realtà benefiche dedite all'aiuto verso le fasce più deboli: monti dei grani e dei denari, confraternite, legati del sale e del pane, case di Dio, consorzi di misericordia. L'unica situazione che sfuggiva all'intervento municipale era quella dell'infanzia abbandonata ed esposta, divenuta una piaga allargata, con implicazioni negative sotto il profilo etico e sociale. La struttura malegnese, sviluppatasi presumibilmente da una stazione; di posta e di ristoro inserita nella rete di collegamenti viari creata in epoca romana, assunse intorno al Mille le funzioni di xenodochio della pieve di Cividate, per fornire rifugio ed assistenza religiosa a passanti e pellegrini. Dopo essere stato governato dai Benedettini di San Faustino di Brescia, almeno dai primi decenni del Duecento l'ospizio fu retto da un insediamento di frati Umiliati, la cui attiva presenza nell'ambito della società indigena è testimoniata da una serie di atti notarili risalenti ai secoli XIII-XIV. Già allora alla casa stava unita una cappella, l'attuale chiesetta di Santa Maria, un tempo dedicata all'Epifania, intitolazione da mettere in connessione con l'essere il luogo un frequentato transito per le persone che percorrevano la Valleriana. Dal culto dei Magi scaturisce l'ipotesi che nell'antichità potesse sorgere in quell'area un sacello pagano consacrato a Mercurio, protettore di mercanti e viaggiatori. Nel cambiamento del nome epifanico appare la volontà di riaffermare il significato della maternità di Maria, naturale cornice allo specializzarsi da parte dell'istituto nella difesa dell'infanzia. Gli ultimi ricordi della residenza degli Umiliati risalgono a metà Quattrocento; già nel 1459 il brefotrofio risultava governato da un Bartolomeo di Malegno, su incarico ricevuto dal Capitano di Valle Camonica per facoltà conferita dal consiglio valligiano. Vi abitavano trentasei ospiti, tra fatui e bambini dei quali si ignorava la paternità. Superata non senza difficoltà una contrapposizione in materia di giurisdizione tra la comunità valligiana e l'autorità vescovile, sul finire del secolo XV l'entrata dell'ospizio nell'orbita del consiglio di Valle appare consolidata. L'organismo ne controllava il funzionamento tramite le figure dei presidenti -indicati di norma con cadenza annuale, in numero di due ed assistiti dal collegio dei deputati pubblici che li autorizzava di volta in volta all'esercizio delle funzioni e alle spese di carattere straordinario- e del "ministro" (un economo direttore), selezionato con la procedura dell'appalto e tenuto a prestare fideiussione. Dal secondo Cinquecento al 1800 l'ospedale riceveva ogni anno una media di 31,5 bambini; la misura cresceva a 42,5 nel periodo 1801-40 e quasi raddoppiava (56,4) negli anni 1841-60. In parte questi sfortunati, chiamati "figli della terra " o esplicitamente "bastardi", erano esposti nelle contrade della valle, deposti nei portoni delle chiese, sotto i porticati degli oratori campestri, alle grate delle santelle, ai crocicchi dei viottoli, davanti alle canoniche, agIi opifici ed alle abitazioni dei consoli, affinché ne fosse agevolato il ritrovamento; muniti di contrassegni utili per eventuali riconoscimenti si presentavano sistemati in "cesti di giunchi", "involti in cenci grossolani", infilati entro panni logori da carbonai o in rozzi sacchetti riempiti di fieno, coperti da pelli di pecora. Tra i segnacoli più comuni -accompagnati dall'attestato dell'avvenuta somministrazione dell'acqua battesimale- si avevano: medagliette dedicate all'Immacolata (con la scritta "Maria concepita senza peccato prega per noi che a Voi ricorriamo"), di varie grandezze, intere o spezzate in modi particolari; distintivi di Cristo crocefisso o di Santi; piccoli crocefissi mancanti dei braccio del bastone inferiore; "amuleti detti volgarmente agnus" ricamati con simboli religiosi; immaginette sacre recise a metà; pezzetti di carta o cartone rigati o decorati; coccarde di stoffa; frammenti di fotografie; lamine di ottone; monete "tagliate in forma di conio"; rametti di ulivo. Al momento dell'accettazione si metteva al collo del bambino una medaglia marcata nel diritto con numero progressivo ed anno di ingresso, nel rovescio con la dicitura "Brefotrofio di Valle Camonica ".